Una voglia di «fare corpo»

L’Eucaristia come fondamento dell’esperienza ecclesiale. La prima di una serie di riflessioni per camminare insieme verso una comunità che rifiuta la divisione, che accoglie gli ultimi, che trova la forza del perdono, che porta frutti di vita.

 

L’Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (LG 11): a partire da questa affermazione del Concilio Vaticano II vogliamo condurre le nostre riflessioni di questo sussidio per tentare di capire quali sono le dimensioni che l’Eucaristia ci domanda di celebrare e di mettere a fondamento dell’esperienza ecclesiale.

E, in fondo, tentare di rispondere a questo grande interrogativo: quale Chiesa siamo chiamati a costruire alla luce dell’Eucaristia che celebriamo?

Se l’Eucaristia è «fonte» dell’esperienza ecclesiale, è evidente che è lì, in questo gesto grande che la chiesa deve trovare le sue linee fondamentali per costruirsi sullo sviluppo e sul prolungamento nel quotidiano, di tutta quella realtà che viene proclamata nel momento celebrativo.

Se, egualmente, l’Eucaristia è «culmine», significa che tutta l’esperienza ecclesiale tende a divenire sempre di più compimento e figura definitiva «senza ruga e senza macchia» di quel mistero di amore, di dono, di comunione che è il mistero stesso dell’Eucaristia. Quasi a dire che la Chiesa è in tensione verso quella celebrazione definitiva dell’Eucaristia nel Regno, là dove si compirà la promessa di Gesù: «Io berrò con voi il vino nuovo nel Regno di Dio» e là dove, finalmente, la vita sarà pienamente specchio della celebrazione e celebreremo in verità quello che già veramente vivremo.

Così, in semplicità e senza pretesa, tenteremo di aiutarci a capire quale chiesa nasce dall’Eucaristia se vogliamo che l’Eucaristia sia vera e il nostro essere chiesa autentico, lontano da un’appartenenza formale e burocratica.

La celebrazione dell’Eucaristia come una grande scuola, dunque, per imparare a costruire la nostra Chiesa. Insieme, nel corso di queste riflessioni, scopriremo la forza determinante che questa memoria ha per il nostro essere e per il nostro crescere come comunità di coloro che credono in Gesù di Nazareth.

Memoria carica di forza e di profezia; memoria che ci mette in movimento per contestarci, per aprirci a cammini sempre nuovi e per raccogliere sfide impreviste; memoria «rivoluzionaria» perchè sempre e continuamente ci impedisce di assecondare costumi, tradizioni e facili compromessi.

 

Celebrare in verità

 

L’Eucaristia è il gesto di Gesù Cristo che si fa Lui stesso realtà  di comunione, offrendosi come dono per ogni uomo.

L’unico pane e l’unico vino condivisi fra tutti sono l’annuncio forte che l’unità non è stabilita da criteri di simpatia o di convenienza, ma proprio da quell’unico Cristo che ha «desiderato ardentemente» ogni uomo alla sua mensa, che ha detto «prendete e mangiatene tutti» e che ha caratterizzato con quel «per voi e per tutti» il pane e il vino che stava distribuendo.

Mangiare insieme è diverso dal semplice mangiare, si tratta di entrare in comunione con tutti i partecipanti e, innanzitutto con colui che ha esteso l’invito: i sentimenti di obbedienza al Padre e di amore a tutti gli uomini che sono nel cuore del Cristo, devono essere condivisi da tutti gli invitati.

L’Eucaristia è celebrata veramente in spirito e verità quando rende concreta la sua forza di comunione. Il motivo fondamentale della presenza alla Cena del Signore è proprio perchè tutti possano avere gli «stessi sentimenti che furono in Gesù di Nazareth». Ecco da dove scaturisce quella pagina dura che Paolo scrive alla sua comunità di Corinto (1Cor 11, 17-33) cui rimprovera di non celebrare affatto nella verità.

Cosa era successo?

A Corinto la comunità che pure era fiorente e si riuniva regolarmente per la Cena, era divisa: c’era individualismo, opposizione tra ricchi e poveri, tra chi non aveva niente e chi aveva anche troppo; poi c’era la corrente di Paolo, di Cefa, di Apollo… di Cristo. Ciascuno stava con i suoi. Questo si ripercuoteva nella Cena del Signore che era celebrata all’interno di un pasto in una casa della comunità.

«Voi gettate disprezzo sulla Chiesa di Dio – afferma Paolo-. Attenti a non mangiare e bere la vostra condanna!».

Voi – così potremmo tradurre le parole dell’Apostolo – non capite assolutamente quello che fate quando vi radunate in assemblea eucaristica! Celebrate il memoriale del «sì» di Gesù Cristo al Padre e agli uomini e, nello stesso tempo, esprimete indifferenza e divisione all’interno della comunità».

Un rimprovero duro per ribadire che se il Signore Gesù, nell’Eucaristia, ci rende contemporanei al suo gesto di amore per ogni uomo, è perchè anche noi possiamo trovare forza per fare altrettanto.

Verso gli altri non ci lasciamo più guidare dalla simpatia, dal ruolo che uno ricopre, dalle condizioni sociali ma piuttosto dallo stesso atteggiamento di Gesù che ha amato tutti, nemici compresi.

Perciò da una partecipazione autentica all’Eucaristia deve scaturire una comunità ecclesiale che vive intensamente la comunione come attenzione agli altri, come solidarietà, come perdono, come accoglienza generosa e disponibile verso tutti. Una vita di comunità là dove queste dinamiche non siano presenti è un grave insulto al «Corpo di Cristo», quello di Gesù donato volontariamente sulla Croce per ogni uomo e a quel «Corpo di Gesù» che è la chiesa stessa che, così, rischia di essere un corpo dilaniato.

 

Mangiare per… amare

 

L’Eucaristia ci chiama ad una chiesa che sempre più diventi realtà di comunione, perchè in essa i fratelli vivono la disponibilità e l’attenzione ai poveri, agli ultimi e a tutti coloro che sono in situazioni di bisogno; perchè in essa ciascuno si fa carico della realtà degli altri, degli ammalati, degli anziani, di coloro che sono nella solitudine; perchè in essa si esprime vigilanza e custodia sui piccoli e su coloro che stanno crescendo; perchè in essa c’è il rifiuto di ogni divisione che l’individualismo, l’egoismo e la cattiveria possono far nascere e sostenere.

Una comunità che cresce con l’Eucaristia è una comunità che rifiuta ogni divisione, anche quelle non volontariamente create e mantenute ma esistenti di fatto, per diventare sempre più una famiglia là dove la gioia e il dolore di uno sono la gioia e il dolore di tutti.

Se manca questa voglia di comunione, l’Eucaristia non rende vivi, anzi segna la nostra infermità e la nostra morte. Sembriamo vivi ma in realtà siamo profondamente ammalati: scontenti, amareggiati e sfiduciati, incapaci di tradurre l’amore e la comunione nel quotidiano, impediti di portare nella nostra esistenza quei frutti di vita che solo l’amore può rendere possibili.

Questa nostra indegnità ci allontanerà dalla partecipazione all’Eucaristia? No. Possiamo essere ben consapevoli della nostra incapacità di amare e non per questo astenerci dalla Eucaristia. Anzi, proprio perchè incapaci di amare bisogna mangiare il Cristo. E mangiare insieme, perchè «Egli dimori in noi e noi in Lui». Mangiare di Lui per poter essere e vivere come Lui e per Lui.

Solo bisogna ardentemente volere la solidarietà, la riconciliazione, la capacità di dono di sè. E cercare tutto ciò nel Cristo della Cena.

 

 

 

Aspettatevi gli uni gli altri

 

Paolo, così ammonisce la comunità di Corinto: «Quando, fratelli, vi radunate per la Cena, aspettatevi gli uni gli altri!». Aspettatevi vuol dire accoglietevi, superate le divisioni, mettetevi al passo del più debole, dell’ultimo, con tanta compassione e bontà.

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