L’unità tra tutti i credenti è la grande sfida lanciata oggi alla comunità cristiana. Il discepolo di Gesù riconosce che ogni uomo è figlio dello stesso Padre che è nei cieli, un fratello chiamato ad abitare la stessa casa.
Quando Paolo scrive la prima lettera ai Corinti è motivato da una grande preoccupazione: gli è stato segnalata l’esistenza di discordie in quella chiesa. Sono nati i partiti: «Io sono di Paolo, io sono di Cefa, io sono di Apollo…». Paolo, Cefa, Apollo… predicatori che avevano annunciato la buona notizia di Gesù di Nazareth, il Signore.
Ora, la gente di Corinto, legandosi all’uno o all’altro, aveva creato delle fazioni all’interno della comunità. Paolo rimprovera aspramente questa situazione: «Forse che Paolo è stato crocifisso per voi? O è in nome di Paolo che siete stati battezzati?».
E’ Cristo, la sua croce, la sua risurrezione… la grande ragione del vostro essere credenti, ed è Cristo dunque la ragione dell’unità (cfr 1Cor 1,9ss).
Più avanti, nella stessa lettera, Paolo trova nell’Eucaristia il motivo dell’unità dei cristiani: «Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che io dico: il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poichè c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane».
Il dono dell’unico pane
La chiesa ha il compito dell’unità perchè ha ricevuto in dono l’unico e l’unico calice. Il Cristo è morto e risorto per ogni uomo.
Là dove si cerca di «dilaniare» il corpo di Cristo che è la Chiesa non c’è più autenticità evangelica, resta solo una visuale «umana» perchè non ci si è lasciati prendere dallo Spirito dell’unità in Cristo.
Quando, nell’ultima Cena con i suoi apostoli, prende e spezza il pane e offre il vino, Gesù fa emergere chiaramente che il dono di sé è per ogni uomo, perchè ogni uomo abbia salvezza; così come, d’altra parte, la sua preghiera era stata rivolta al Padre per tutti gli uomini.
Il Cristo assume in pienezza una mentalità di totale apertura agli uomini, non scheda, non setto rizza, non cataloga, portando invece a misurare la grandezza in funzione della purezza di cuore, in base cioè alla bontà profonda che rende possibili schieramenti per la pace, per la giustizia e per il bene.
L’uomo vale, non in forza di tradizioni, di estrazioni sociali, di cultura, probabilmente neppure in forza della religione che professa… ma in forza della fedeltà a se stesso e agli altri, fedeltà alla vita e a tutto ciò che essa esprime nelle proprie strutture culturali, ideologiche e religiose.
Il sogno dell’unità
Ecco, noi celebriamo un Cristo così, di questa consistenza. Noi, come comunità cristiana, celebriamo nell’Eucaristia un Cristo morto e risorto per l’umanità intera; celebriamo il sogno e il desiderio di una profonda unità secondo il desiderio di Cristo.
E’ il sogno di un Regno, di una «casa comune» (oikoumene) che è per ogni uomo. Ecco dove stanno le radici dell’impegno ecumenico della chiesa: nel sogno di Dio stesso perchè ogni uomo abbia parte del Regno!
Quale chiesa nasce, allora, da queste certezze? Quale sarà il volto ecumenico di una chiesa che ha maturato queste convinzioni?
Sarà, anzitutto, una chiesa che all’interno di essa demolisce tutto ciò che può portare a creare divisione tra le persone e i gruppi.
Persone accolte, amate… con cuore di fratello; senza lasciarsi influenzare dalla posizione sociale, le ideologie, i posti di prestigio occupati… Conta solo il fatto che l’altro è amato da Dio come me; per lui, come per me, Cristo è morto e risorto; anche lui, come me, sta vivendo nel suo oggi la fedeltà al Signore… sbaglia, come me; fatica come me.
Imparare ad apprezzare l’altro conduce lentamente a farsene carico, senza pregiudizi e senza pretesa di avere noi soli la verità.
E’ sapere che nessuno è talmente ricco da non avere nulla da ricevere dagli altri; ma nemmeno è talmente povero da non avere nulla da donare agli altri.
In questo scambio, in questo dialogo fraterno costruiamo, giorno per giorno, la comunità come «corpo di Cristo».
Per maturare insieme
In questo senso, a livello di gruppi ecclesiali, c’è bisogno di maturare atteggiamenti nuovi.
Troppo spesso in nome dell’appartenenza ad un gruppo o all’altro, ad un movimento o all’altro… abbiamo finito per non accoglierci più come fratelli, ciascuno chiuso nella sua ideologia e con la pretesa che la ragione fosse tutta nostra.
Abbiamo bisogno di far maturare i nostri gruppi, le nostre associazioni e i nostri movimenti perchè si aprano al dialogo, perchè in nome dell’unico Corpo di Cristo, dell’unico Spirito accettino di camminare insieme pur nel rispetto, nell’accoglienza e anche nella valorizzazione delle differenze.Il confronto e il dialogo non possono che arricchire.
Mentalità troppo piccole, pretese di assolutizzare il cammino del proprio gruppo, hanno condotto spesso a dividere le comunità dei cristiani.
Paolo, Apollo, Cefa… del tempo dei Corinti sono diventati i fondatori dei movimenti ecclesiali di oggi, ma non è cambiato nulla: non abbiamo ancora capito che la ragione della fede è solo lui, il Cristo morto e risorto!
Celebrare Eucaristia in verità è anche permettere che essa contesti quanto poco amore e poca accoglienza talvolta c’è dentro le nostre comunità. Corinto e il rimprovero di Paolo sono sempre attuali.
Per chi possiamo essere credibili se siamo divisi davanti agli uomini d’oggi? Come ci possiamo impegnare con serietà a lottare per una famiglia unita, per una storia nuova, per una società che abbatta i muri delle intransigenze politiche e delle dipendenze economiche… senza aver cercato con tutte le forze di togliere questa mentalità «umana» che ci pone in contrapposizione tra appartenenti a gruppi diversi?
Il dialogo, il confronto franco e sereno, il rispetto del cammino degli altri… sono caratteristiche indispensabili per coloro che amano la chiesa.
Andando ancora oltre, credo che la forza dell’Eucaristia chiami la comunità cristiana a porsi in atteggiamento di accoglienza verso ogni altra esperienza di uomini e donne che stanno lavorando per il bene e la pace. Non si tratta di guardare con semplicismo alle diversità che esistono tra religioni e modi di esprimere la fede; si tratta piuttosto di vivere atteggiamenti di fede profonda che portano a credere che Dio offre il suo Spirito con libertà ad ogni uomo.
Accogliere il vero
Spesso si è chiuso il dialogo solo per paura, spesso si è pensato di avere e sapere già tutto, di essere già arrivati, mossi dall’interrogativo pregiudiziale: che cosa mi possono insegnare gli altri?
Una chiesa ecumenica è una chiesa che non teme il confronto, non ha paura di perdere la sua identità perchè si pone accanto ad altre espressioni religiose. Piuttosto è una chiesa adulta che accetta di crescere ulteriormente nel donare ad altri la sua ricchezza e nell’essere disponibile ad accogliere quanto di buono, di bello e di grande è presente anche in religioni differenti.
Una chiesa ecumenica è una chiesa che apprezza il bene, senza chiedersi da dove viene o che colore di pelle ha colui che lo esprime… una chiesa che non ha paura di lottare per le grandi cause di pace, di giustizia, di salvaguardia del creato accanto a chi lavora per queste cause senza avere la stessa fede. Sì, perchè l’appartenenza a Dio non passa attraverso una struttura, ma piuttosto attraverso l’adesione del cuore e della vita a tutto ciò che rende nuovo l’uono e la comunità intera.
«Non c’è nessuno che faccia qualcosa in nome mio e poi parli male di me». Il Cristo che rompe le barriere delle classi religiose e politiche, che accoglie il bene e la fede anche se viene da samaritani e da pagani… è veramente il Cristo ecumenico che ci fa fare grandi passi verso la certezza che siamo figli di uno stesso Padre, fratelli di un’unica famiglia umana, chiamati ad abitare nella «casa comune».