La Chiesa italiana ha scelto come progetto per il suo cammino degli anni ’90 la dimensione della carità: non ci può essere infatti comunità cristiana senza che la fede si traduca in opere concrete. Dall’Eucaristia l’impegno a trasformare nella carità il tessuto sociale.
E’ molto significativo che San Giovanni scrivendo il suo vangelo non riporti il momento dell’istituzione dell’Eucaristia con le parole di Gesù sul pane e sul vino, ma «si limiti» ad offirci il racconto della lavanda dei piedi.
Dimenticanza? No, non lo possiamo pensare, considerata la grandezza del momento e la grande importanza che i gesti del Cenacolo hanno subito assunto per la comunità cristiana nascente.
E poi, dai primi versetti del capitolo 15 del testo di Giovanni, emerge con chiarezza e forza un Gesù che ha coscienza di compiere un grande gesto, pieno di dignità e di novità, un gesto da lasciare ai suoi come testamento, segno della sua signoria e del suo essere maestro per i discepoli e per quella Chiesa che con loro avrebbe avuto inizio.
E’ da pensare che per Giovanni, che si propone come interprete dell’ottica di Gesù, l’istituzione dell’Eucaristia e il gesto della lavanda dei piedi non siano che l’unica conseguenza del gesto di colui che sta per donare se stesso in un dinamismo di amore e di dono che solo Dio poteva mettere in atto.
Quasi per dire ai cristiani di tutti i tempi che l’Eucaristia più vera è quella che conduce all’amore, al servizio, alla carità.
Sì, perchè la fedeltà a Gesù Cristo e alla sua parola non si compie in una memoria cultuale o rituale, ma là dove la memoria celebrata nella liturgia diventa memoria interpretata nel tessuto esperienziale di ogni giorno e nei fatti concreti dell’esistenza.
E per restare ancora al testo evangelico di Giovanni, è anche molto interessante il piccolo confronto tra Pietro e Gesù nel momento in cui Gesù gli si accosta per lavargli i piedi. Pietro non capisce… non riesce a far sua una logica così impossibile, non riesce a cogliere come la signoria e l’essere grandi possa passare per un gesto così umile di servizio che diventerà presto di croce e di annientamento. Sono logiche dure da cogliere.
Pietro come uno specchio
Perciò Pietro è interprete di ciascuno di noi di fronte alla proposta di Gesù Cristo: quanto spesso siamo disponibili ad affermare la nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa solo in forza di fedeltà a pratiche e gesti liturgici che ci costano relativamente…. quanto è difficile per tutti noi capire come logica di salvezza, come logica del posto più grande quella che ci pone ai piedi degli altri, che ci fa essere servi piccoli e poveri senza pretese e senza esaltazioni!
«Aver parte» con il Cristo significa quindi adottare, fare propria la stessa via che ha scelto lui: la via della croce, dell’umiliazione, ma nell’amore. Lavare i piedi, così come la realtà della croce sono atti d’amore, indicano il dono gioioso della vita.
Pietro non capisce… più tardi capirà. Dopo la croce capirà. Avrà bisogno di essere lavato, di essere rifatto, per capire e vivere in un altro modo.
L’Eucaristia che Giovanni ci fa conoscere è essenzialmente una Eucaristia di servizio, di attenzione agli altri, un mistero d’amore celebrato e vissuto.
La comunità cristiana che raccoglie questi profondi insegnamenti è la comunità che, giorno per giorno, si incarica a rendere vera la sua celebrazione in scelte e gesti concreti di carità. Impara a superare la tentazione di una Eucaristia che rimane solo a livello rituale e a superare il rischio di un gesto compiuto solo per abitudine o per tradizione, posto solo perchè «bisogna» e si spinge più in là… avendo coscienza che la celebrazione è vissuta davvero «in spirito e verità» quando trova consistenza nella vita, nei rapporti da instaurare, nella realtà di famiglia, nell’ambiente di lavoro, nella solidarietà concreta verso ogni forma di emarginazione e povertà.
E allora la comunità cristiana che celebra è la comunità che rompe le barriere dell’individualismo e della chiusura, che si spinge oltre le logiche di interesse e di tornaconto per fare propri gli inviti al servizio e all’accoglienza che il Cristo, fatto pane e vino per ogni uomo, continuamente propone e suggerisce.
Si tratta, in definitiva, di lasciarsi plasmare dall’Eucaristia, di lasciarsi educare, di permettere che la forza e la novità dell’evento Gesù di Nazareth trascini anche noi verso questi valori in grado di proporci come uomini nuovi e comunità nuove.
Divenire come singoli, come famiglie e come comunità espressione della carità… ecco la grande chiamata che sgorga e si rinnova ogni volta che ci ritroviamo a celebrare Eucaristia in pienezza.
Servire è accogliere
La Chiesa italiana per gli anni ’90 ha scelto come progetto per il suo cammino proprio la dimensione caritativa, sottolineando l’attenzione ai poveri e agli ultimi, esattamente nella convinzione che non ci può essere chiesa autentica e secondo il cuore di Gesù Cristo se non in questa prospettiva e nella capacità di tradurre la fede in opere concrete.
Vorrei sottolineare semplicemente alcuni segni di carità che oggi mi sembrano emergere come urgenti.
L’attenzione agli anziani e agli ammalati! Credo che significhi offrire vicinanza, solidarietà, assistenza perchè l’anzianità e la malattia possano essere vissuti con dignità.
L’efficientismo, la voglia di produrre, di arricchire… spesso ci conducono a non prendere abbastanza cura e assistenza per questi «poveri», talvolta si «scaricano» considerandoli di peso o comunque di intralcio ai propri progetti.
Dà fastidio un anziano, è scomodo, costa… ma credo che proprio in queste situazioni siamo chiamati a moltiplicare la forza della carità e dell’amore per attuare veramente l’invito del Signore «come ho fatto io così fate anche voi». C’è la possibilità davvero di lavare i piedi, di arrivare là dove loro non possono arrivare, di sostenere la speranza, di essere con gioia servi di coloro che, quando erano giovani e in salute, ci hanno con gioia servito.
Attenzione agli immigrati. E’ un’urgenza più che mai forte nel nostro tempo. Il paese è investito da ondate di profughi o comunque di gente in cerca di lavoro, di diverse condizioni di vita e, tutto sommato, in cerca di dignità.
Presenze, e tante, che non possiamo eludere. Non ci viene chiesta l’elemosina che fa tacere la coscienza, nè ci viene chiesto un giudizio affrettato… ci viene chiesto di farci carico, di sentirli fratelli e sorelle, di mettere in atto iniziative e gesti che, come famiglia e come comunità, ci coinvolgano nell’intento di sanare, di offrire salvezza a questi profughi. Senza pretesa di risolvere noi da soli l’enorme problema, ma anche senza paura perchè quel poco che possiamo fare certamente è un contributo e un segno che genera altri segni.
Non demandiamo ad altri il problema, tocca a ciascuno dare una mano, lasciarsi coinvolgere perchè sia assicurata a questi fratelli una accoglienza più dignitosa e reali possibilità di vita.
La carità certamente fa emergere le situazioni, permette di vederle e permette anche di mettere in atto scelte coraggiose per sopperire ai bisogni. Tutto questo è Eucaristia.
Forza per cambiare il mondo
Attenzione alla storia.
Vorrei invitare a divenire comunità attente al mondo. Spesso ci capita di non sapere nemmeno, di avere poca informazione, di limitarci ai soliti programmi televisivi e alle solite riviste che finiscono solo per farci pensare che la vita e la storia sia quiz, soldi facili, moda, cronaca rosa… La storia in tanti paesi vive giorni di tragedia e di dramma, popolazioni intere in balia dei potenti, soppressi dal potere e dalla meschinità di pochi… e noi non sappiamo, mettiamo la testa nella nostre piccole cose. Non so, non vedo, non sento…
Siamo chiamati ad essere attenti, a conoscere, a far sapere ai nostri figli tutto ciò che oggi impedisce il progetto di una umanità nuova.
E’ vero, non possiamo fare niente per la situazione in Russia, in Romania, in Jugoslavia, in Zaire, in tanti paesi dell’America Latina o del terzo mondo… o forse possiamo fare molto poco, ma sapere, conoscere, approfondire è già mettere in atto una solidarietà e una vicinanza che ci portano un po’ alla volta a saper leggere le cause più vere e profonde di certi disagi e di certi drammi… e chissà che non ci scopriamo una certa nostra responsabilità e l’urgenza di cambiare un po’ stile di vita per non favorire con i nostri atteggiamenti e pretese borghesi il divario tra paesi ricchi e paesi poveri e favorire, invece, con le nostre scelte una coscienza sempre più ampia per questi popoli.
Celebrare Eucaristia è aprirsi alla carità… Non chiudiamo l’Eucaristia soltanto dentro le chiese o le belle liturgie; lasciamo che ci provochi e ci renda veramente comunità cristiane solidali con ogni forma di povertà e di disagio.